Questa graphic novel, formato che ha la stessa “dignità letteraria” del testo in prosa,
è caratterizzata da uno stile grafico molto particolare e sicuramente memorabile.
Scritta da un’autrice italiana, ha l’audacia di essere un’opera su un argomento molto
popolare, ma trattato in una maniera inedita, sia dal punto di vista grafico che
letterario.
I disegni sono molto originali: l’autrice non ha cercato di imitare il classico stile manga,
ma ha creato un tratto del tutto unico e particolare, che sicuramente è riconoscibile
tra mille fumetti sul Giappone. Il suo stile è estremamente interessante, sono questi i
“giovani talenti” che meritano, perché no, anche il successo commerciale. Traspare la
passione per il paese del quale si stanno narrando le storie più curiose, si intuisce uno
studio minuzioso dei dettagli culturali e in generale si capisce che è stato fatto un
grande approfondimento sulla cultura giapponese prima della stesura dell’opera.
Il modo in cui la storia è raccontata è altrettanto originale e mai visto prima: l’autrice
riprende quella che era un’antica tradizione, una sorta di gioco per i samurai
giapponesi, e si focalizza sul contenuto delle storie che questi guerrieri narravano ai
tempi. Certamente tra esse figuravano storie di terrore puro, ma anche storie dal lieto
fine, oppure altre più simili a fiabe o favole, che a veri e propri racconti di paura. È
apprezzabile soprattutto la varietà di questi brevi racconti. L’impressione, mentre si
procede con la lettura, è quella di guardare una serie tv antologica (ovvero vari episodi
con trame indipendenti l’una dall’altra) nella quale brevi scorci di “cornice” danno
inizio ai racconti. L’opera italiana più vicina a questa tradizione di racconti giapponesi
è il “Decamerone” di Boccaccio. Ovviamente ci sono anche diverse differenze, ma la
formula dei racconti collegati da una “cornice” comune è familiare.
Quest’opera ha anche un altro elemento che la caratterizza: gli yokai, spiriti di ogni
forma e dimensione, che costituiscono il soggetto vero e proprio delle storie. A
differenza dei classici mostri del folklore italiano, gli yokai parlano sempre e non sono
per forza malevoli: ciò conferisce loro un lato più “umano”. A questo proposito, la
scelta di rendere i narratori non antropomorfi è geniale, poiché fa davvero apparire
gli yokai come le creature più umane dell’opera, anche più delle persone che
compaiono nelle storie, le quali spesso e volentieri sono guidate dall’avidità o dalle
passioni, sebbene si trovino anche umani eroici o gentili.
Questa è un’ottima lettura introduttiva per chi è “a digiuno” di cultura giapponese,
ma anche per chi già sa cosa siano gli yokai, magari conosciuti grazie ad altri media.
L’opera invoglia anche a scoprire altri lavori dell’autrice, che si distingue per uno stile
grafico davvero unico. Insomma, dopo questo libro, il lettore visiterà il Giappone
molto più spesso nelle sue letture…
Nippon Yokai, il gioco delle dieci storie
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